giovedì 23 aprile 2015

Quando il cibo manca: le carestie. Alessandro Manzoni e Pete St.John



Il cibo ne “I Promessi Sposi” è un elemento ricorrente e viene utilizzato da Manzoni con molteplici funzioni lungo tutta l’opera. L’autore ad esempio si serve di vari generi alimentari, dalla polenta alle carni più raffinate, per connotare lo status sociale di un personaggio e per marcare la differenza tra i ricchi e i poveri, oppure attribuisce ad una pietanza in particolare un valore simbolico, basti pensare al pane del perdono di Fra Cristoforo. Nei due brani che verranno letti però emergerà un altro aspetto del cibo: la sua mancanza, la carestia che diventa fame del popolo. Manzoni prima compie una digressione storica sulle cause della carestia del 1628, poi passa a descriverne gli effetti sugli uomini che per la fame perdono il controllo razionale di sé e da personediventano “marmaglia”, una massa pericolosa ed imprevedibile animata dagli istinti e dalle passioni.

Era quello il second'anno di raccolta scarsa. Nell'antecedente, le provvisioni rimaste degli anni addietro avevan supplito, fino a un certo segno, al difetto; e la popolazione era giunta, non satolla né affamata, ma, certo, affatto sprovveduta, alla messe del 1628, nel quale siamo con la nostra storia. Ora, questa messe tanto desiderata riuscì ancor più misera della precedente, in parte per maggior contrarietà delle stagioni (e questo non solo nel milanese, ma in un buon tratto di paese circonvicino); in parte per colpa degli uomini. Il guasto e lo sperperìo della guerra, di quella bella guerra di cui abbiam fatto menzione di sopra, era tale, che, nella parte dello stato più vicina ad essa, molti poderi più dell'ordinario rimanevano incolti e abbandonati da' contadini, i quali, in vece di procacciar col lavoro pane per sé e per gli altri, eran costretti d'andare ad accattarlo per carità “.



“I deputati si radunarono, o come qui si diceva spagnolescamente nel gergo segretariesco d'allora, si giuntarono; e dopo mille riverenze, complimenti, preamboli, sospiri, sospensioni, proposizioni in aria, tergiversazioni, strascinati tutti verso una deliberazione da una necessità sentita da tutti, sapendo bene che giocavano una gran carta, ma convinti che non c'era da far altro, conclusero di rincarare il pane. I fornai respirarono; ma il popolo imbestialì.


Uscivano, sul far del giorno, dalle botteghe de' fornai i garzoni che, con una gerla carica di pane, andavano a portarne alle solite case. Il primo comparire d'uno di que' malcapitati ragazzi dov'era un crocchio di gente, fu come il cadere d'un salterello acceso in una polveriera. - Ecco se c'è il pane! - gridarono cento voci insieme. - Sì, per i tiranni, che notano nell'abbondanza, e voglion far morir noi di fame, - dice uno; s'accosta al ragazzetto, avventa la mano all'orlo della gerla, dà una stratta, e dice: - lascia vedere -. Il ragazzetto diventa rosso, pallido, trema, vorrebbe dire: lasciatemi andare; ma la parola gli muore in bocca; allenta le braccia, e cerca di liberarle in fretta dalle cigne. - Giù quella gerla, - si grida intanto. Molte mani l'afferrano a un tempo: è in terra; si butta per aria il canovaccio che la copre: una tepida fragranza si diffonde all'intorno. - Siam cristiani anche noi: dobbiamo mangiar pane anche noi, - dice il primo; prende un pan tondo, l'alza, facendolo vedere alla folla, l'addenta: mani alla gerla, pani per aria; in men che non si dice, fu sparecchiato. Coloro a cui non era toccato nulla, irritati alla vista del guadagno altrui, e animati dalla facilità dell'impresa, si mossero a branchi, in cerca d'altre gerle: quante incontrate, tante svaligiate. E non c'era neppur bisogno di dar l'assalto ai portatori: quelli che, per loro disgrazia, si trovavano in giro, vista la mala parata, posavano volontariamente il carico, e via a gambe. Con tutto ciò, coloro che rimanevano a denti secchi, erano senza paragone i più; anche i conquistatori non eran soddisfatti di prede così piccole, e, mescolati poi con gli uni e con gli altri, c'eran coloro che avevan fatto disegno sopra un disordine più co' fiocchi. - Al forno ! al forno! - si grida ”.



Il testo di “The Fields of Athenry” di Pete St. John , composto negli anni Settanta, è riferito ai fatti della grande carestia irlandese (Great Famery), risalente agli anni tra il 1845 e il 1852.
 Le cause di tale carestia risiedono in una epidemia che colpì le patate, base dell’alimentazione, e nella politica economica inglese, che vedeva l’Irlanda come una colonia da sfruttare. Secondo gli irlandesi, ci sarebbero addirittura gli estremi per parlare di genocidio da parte dell’Inghilterra, che non fece niente per risolvere la situazione.
Michael, il protagonista della canzone, è costretto a rubare per sfamare i propri figli: mosso dalle condizioni estreme in cui si trova la sua famiglia, deve agire contro la legge, comprometttendo la propria esistenza. Le autorità inglesi si riveleranno poi inflessibili nel condannarlo alla deportazione.
Allargando l’orizzonte dall’Irlanda a tutto il mondo,  anche oggi molte zone sono colpite da carestie o segnate da problemi relativi al nutrimento, dovuti a mancanza di risorse. Nel limite del possibile, sia le autorità locali sia i paesi stranieri dovrebbero contribuire  per risolvere le situazioni più gravi.



The Fields of Athenry
Pete St.John

By a lonely prison wall
I heard a young girl calling
Michael they are taking you away
For you stole Trevelyn's corn
So the young might see the morn.
Now a prison ship lies waiting in the bay.

Low lie the Fields of Athenry
Where once we watched the small free birds fly.
Our love was on the wing we had dreams and songs to sing
It's so lonely 'round the Fields of Athenry.

By a lonely prison wall
I heard a young man calling
Nothing matters Mary when you're free,
Against the Famine and the Crown
I rebelled they ran me down
Now you must raise our child with dignity.

Low lie the Fields of Athenry
Where once we watched the small free birds fly.
Our love was on the wing we had dreams and songs to sing
It's so lonely 'round the Fields of Athenry.

By a lonely harbor wall
She watched the last star falling
As that prison ship sailed out against the sky
Sure she'll wait and hope and pray
For her love in Botany Bay
It's so lonely 'round the Fields of Athenry.

Low lie the Fields of Athenry
Where once we watched the small free birds fly.
Our love was on the wing we had dreams and songs to sing
It's so lonely 'round the Fields of Athenry.


 “Michael, ti hanno portato via,

 per aver rubato il mais di Trevelyn, 

cosicché i bambini potessero vedere un altro mattino. 

Adesso una nave-prigione è ormeggiata nella baia ad aspettare.

Là dove sono i campi di Athenry,

dove una volta guardavamo uccellini volare liberi,

il nostro amore aveva le ali

avevamo sogni e canzoni da poter cantare

E' così desolante ora attorno ai campi di Athenry.

Lungo un solitario muro di una prigione,

 ho sentito un uomo dire: “Nulla importa, Mary, finchè sei libera tu.

Contro la carestia e la corona mi sono ribellato e loro mi hanno abbattuto. 

Adesso devi tirar su nostro figlio con dignità.

Lungo il muro solitario del porto, lei guardò l’ultima stella cadere 

quando la nave prigione salpò verso l’orizzonte. 

Continuò a vivere sperando e pregando,

 per il suo amore nella Botany Bay.

E’ così desolante attorno ai campi di Athenry.



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