giovedì 23 aprile 2015

Frutta, pane, miele: alimenti eterni. Wisława Szymborska, Pablo Neruda, Federico Garcìa Lorca


Il melo, pianta fiorita, nutrice di frutti succosi, rinasce ogni primavera portando con sé colori, sentimenti, passioni. E la mela, totalmente dipendente dalla madre, vive ogni istante, non si preoccupa di ciò che la circonda, di ciò che le succede intorno; paziente, aspetta e osserva, circondata dalle foglioline.

Ecco la poesia del premio Nobel polacco Wisława Szymborska, “Il Melo”.




W raju majowym, pod piękną jabłonką,

Co się kwiatami, jak śmiechem zanosi,

pod nieświadomą dobrego i złego,
pod wzruszającą na to gałęziami,

pod niczyją, ktokolwiek powie o niej moja;
pod obciążoną tylko przeczuciem owocu,

pod nieciekawą, który rok, jaki kraj,
co za planeta i dokąd się toczy,

pod tak mało mi krewną, tak bardzo mi inną,
że ani nie pociesza mnie, ani przeraża,

pod obojętną, cokolwiek się stanie,
pod drżącą z cierpliwości każdym listkiem,

pod niepojętą, jakby mi się śniła,
albo śniło się wszystko oprócz niej
zbyt zrozumiale i zarozumiale –

pozostać jeszcze, nie wracać do domu.
Do domu wracać chcą tylko więźniowie.

TRADUZIONE ITALIANA

Nel mese di maggio, sotto un bel melo
Che scoppia di fiori come di risate,

che è incosciente del bene e del male,
e scrolla in proposito i suoi rami,

che è di nessuno, chiunque sia che dice di lui “mio”:
gravato solo dal presentimento del frutto,

che non è curioso di sapere quale anno, paese,
quale pianeta e verso dove rotoli,

che è così poco a me parente, e così estraneo
da non consolarmi né spaventarmi,

che è indifferente, qualunque cosa accada,

tremante di pazienza con ogni fogliolina,

che è inconcepibile, come se lo sognassi,
o sognassi tutto eccetto lui,
un tutto troppo trasparente e arrogante –

restare ancora, non tornare a casa.
A casa vuole tornare solo il prigioniero.



                               
Pablo Neruda, durante gli anni del suo esilio, soggiornò spesso in Italia, e in molte poesie  ne lodò le bellezze e la fertilità . In questo breve componimento,  il poeta cileno ricorda il soggiorno appena fuori Roma, nella cittadina di Frascati, quando era  ancora visibilmente segnata dalle brutalità della guerra. Pur facendo intendere, nei primi versi della poesia, la sua angoscia nel confrontarsi con i segni lasciati da essa, ci rende partecipi  del modo in cui i frutti della terra siano riusciti ad avvolgerlo in un velo di pace e spensieratezza, completamente estraneo alle tragedie della guerra.  Questa poesia può essere definita un inno al cibo,  in quanto ne vengono decantate le origini ed è descritto come medicina per l’anima, oltre che nutrimento per il corpo.




I frutti 

 da L’uva e il vento

Lì a Frascati
i muri bucherellati
dalla morte,
gli occhi della guerra alle finestre,
però la pace mi riceveva
con un sapore d’olio e di vino,
mentre tutto era semplice come il paese
che mi offriva
il suo tesoro verde:
le piccole olive,
freschezza, sapore puro,
misura deliziosa,
capezzolo del giorno azzurro,
amore terrestre.






L'ode di Neruda Il pane trasmette non solo il gusto del cibo, risvegliando in noi la voglia di assaporare ancora più intensamente certi sapori, ma contiene anche dei messaggi, a volte palesi, a volte velati, riguardo il vero valore della vita, presente nelle cose semplici e raggiungibili da chiunque, se solo aprissimo gli occhi.
Origine di ogni cosa, che per ognuno arriverà, perché di tutti, e che ogni persona unisce, il pane è metaforicamente il sapore delle cose semplici. In questo momento tutti avremmo bisogno di pane, per riscoprire il valore delle cose essenziali, come la terra, da cui ogni cosa ha origine, e l’amore, motore del mondo. Sarebbe bello eliminare i confini e scoprire che la terra è di tutti, senza limitazioni, perché la vita dovrebbe essere maggiormente condivisa, come certi sapori veri.





“Dal mare e dalla terra faremo pane,
coltiveremo a grano la terra e i pianeti,
il pane di ogni bocca,
di ogni uomo,
ogni giorno
arriverà perché andammo a seminarlo
e a produrlo non per un uomo
ma per tutti,
il pane, il pane
per tutti i popoli
e con esso ciò che ha
forma e sapore di pane
divideremo:
la terra,
la bellezza,
l’amore,
tutto questo ha sapore di pane.”
Pablo Neruda










Il miele è dolce, come ribadisce più volte la poesia "Il canto del miele" di Federico Garcìa Lorca, eppure contiene in sé un retrogusto di amaro, che in questo caso è rappresentato dalla malinconia, dalle ombre della notte e dalla foglia appassita.
Il miele è simbolo della vita, perché nell’esistenza di ciascuno si presentano momenti infelici e demoralizzanti, che però l’uomo è in grado di superare grazie a supporti e ricordi  dolci e piacevoli, proprio come il sapore predominante del miele.

  Il miele è come il sole del mattino,
con tutta la grazia dell’estate
e il fresco antico dell’autunno.
E’ la foglia appassita ed è il frumento.

Oh divino liquore dell’umiltà,
sereno come un verso primitivo!
Tu sei l’armonia incarnata,
lo spirito geniale di liricità.
In te dorme la malinconia,
il segreto del bacio e del grido.
Dolcissimo. Dolce.
Questo è il tuo aggettivo.
Dolce come il ventre di una donna.
Dolce come gli occhi dei bimbi.
Dolce come le ombre della notte.
Dolce come una voce.
O come un giglio.
Per chi ha in sé la pena e la lira
tu sei il sole che illumina il cammino.
Equivali a tutte le bellezze, al colore, alla luce, ai suoni.









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