giovedì 23 aprile 2015

Quando il cibo manca: l'olocausto. Anna Frank e Trudy Birger

La storia di Anna Frank è conosciuta soprattutto per il suo finale tragico e per tutti i momenti difficili, durante i quali qualsiasi piacere tipico degli adolescenti, incluso l'alimentazione, era negato ad Anna, sua sorella Margot e all'amico Peter.
Nel diario, viene raccontato a Kitty, l'amica immaginaria a cui Anna confida le sue emozioni, come gli abitanti dell'alloggio segreto si procurassero il cibo, di difficile reperibilità anche quando non era necessario mantenere il segreto, come lo conservassero e cosa potessero mangiare. Quanti ragazzi di quindici anni oggi non si lamenterebbero, se fossero costretti a vivere di fagioli o se non avessero a disposizione nemmeno un pezzo di cioccolata quando sono stanchi? Anna non era certo felice che la sua vita fosse stata ingiustamente sconvolta in quel modo; tuttavia è riuscita a ricavare da una simile esperienza anche i lati migliori. Una cascata di fagioli è quindi diventata un'occasione per ridere e dimenticare momentaneamente tutto ciò che la circonda, nella dimostrazione che il cibo non è solo un sostegno nei pomeriggi di studio e stanchezza, ma può far nascere un sorriso sinceramente divertito, in situazioni difficili come quella della famiglia Frank.




Lunedì 9 novembre 1942

Cara Kitty,
[…]
Tornando alle faccende dell'alloggio segreto, bisogna pure che ti scriva qualcosa del nostro approvvigionamento di viveri. Devi sapere che quei signori del piano di sopra sono dei veri ghiottoni. Il pane ci è fornito da un simpatico fornaio, conoscente di Koophuis. […]
Per tenere in casa qualcosa di conservabile, oltre ai nostri 150 barattoli di verdura, abbiamo comperato 270 libbre di legumi secchi. I sacchi di legumi erano appesi a uncini nel nostro corridoio (oltre la porta segreta). Alcune cuciture dei sacchi sono saltate per il peso. Decidemmo per ciò di mettere in soffitta le nostre provviste per l'inverno, affidando a Peter l'incarico di portarle su. Cinque dei sei sacchi erano già arrivati integri di sopra e Peter stava trascinando su il sesto, di circa 50 libbre, quando la cucitura inferiore del sacco si ruppe e una pioggia, o per meglio dire una grandinata di fagioli si rovesciò giù per la scala con un fracasso da giudizio universale; sotto ebbero l'impressione che tutta la casa crollasse loro in testa. Grazie a Dio non c'erano estranei. Anche Peter si spaventò, ma scoppiò a ridere quando mi vide ai piedi della scala come un'isola in quel mare di fagioli, che mi arrivava fino alle caviglie. Subito ci mettemmo a raccoglierli, ma i fagioli sono così piccoli e lisci che si ficcano in tutti gli angoli. Adesso, ogni volta che uno scende la scala, si china per raccattarne una manciata che consegna alla signora.
[…]







In "Ho sognato la cioccolata per anni", Trudy Birger racconta la sua storia. Trudy è una bambina ebrea di appena sedici anni, costretta a vivere il dramma storico dell’Olocausto; viene chiusa in un campo di concentramento e obbligata a lottare ogni giorno per la sopravvivenza. Vive un momento della sua vita inspiegabile per una ragazzina della sua età; sa solamente di dover sopravvivere, per se stessa e per sua madre, che diverrà la sua  migliore amica per tutto il tempo trascorso in questo nuovo, orribile luogo. Dentro di lei, rimane intenso e costante il desiderio di non cedere e rimanere viva, continuando a sognare un futuro luminoso.

L’EXPO può fare ricordare a noi tutti quanto siamo fortunati a trovare, ogni giorno, del cibo nelle nostre abitazioni, nonostante continuiamo a lamentarci di tutto ciò che possediamo. Gli uomini e le donne che vissero e vivono il dramma della deportazione creano un rapporto  particolare con il cibo, divenuto a volte un premio o una ricompensa, da conquistarsi con fatica e sudore.  Finita la tragedia, che mai scorderanno,  non riescono a cambiare il loro rapporto con questa fonte di vita, che dovrebbe essere un diritto inderogabile di ogni essere umano.



CAPITOLO 7: “la vita normale”
La vista di una patata mi ricorda sempre quei tempi. Sento ancora il gusto della brodaglia piena di terra che ci davano nei campi . Come ero grata quando trovavo un pezzetto di buccia che vi galleggiava! Ricordo che mi sentivo incredibilmente fortunata, quasi milionaria, se mi capitava di raccogliere una patata in un campo, anche schiacciata o marcia e riuscivo a trafugarla nel ghetto. Posso inoltre dire quando sono particolarmente ansiosa prima ancora di accorgermene, perché inizio a comprare enormi quantità di pane e ad accumularlo. Non riesco ancora ad abituarmi all’idea che una persona possa mangiare tutto il pane che vuole. E ogni volta che mio marito o qualcun altro mi chiede che strada voglio fare, ridivento la bambina spaventata che stava per essere ammazzata dai nazisti nel 1934, perché disse a suo padre di prendere la strada panoramica invece dell’altra.
(…)


Nessuno, eccetto un altro sopravvissuto all’Olocausto, può pienamente comprendere quello che ci è successo. Questi ricordi non sono come degli indumenti, qualcosa di cui ci si può spogliare e mettere nell’armadio. Sono incisi sulla nostra pelle! Non possiamo liberarcene.  





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