Il vino era il perfetto accompagnatore di ogni simposio, un dono divino, creato per allontanare le sofferenze, come se fosse dotato di poteri che garantissero l’autenticità e la veridicità dei pensieri. Proprio per questo Alceo esorta a bere senza moderazione, cercando di mettere le preoccupazioni da parte: ritiene che l’unico modo per combattere la fugacità del tempo sia saper godere dei piaceri del vino, per trarne gioia.
Alceo fr.
346
« Beviamo.
Perché aspettare le lucerne?
Breve il tempo.
O amato fanciullo, prendi le grandi tazze
variopinte,
perché il figlio di Zeus e di Sèmele
diede agli uomini il vino
per dimenticare i dolori.
Versa due parti d'acqua e una di vino;
e colma le tazze fino all'orlo:
e una segua subito l'altra. »
(Trad. di
Salvatore Quasimodo)
Il vino di Baudelaire viene rappresentato
privo di ogni accezione edonistica, ma si trasforma in qualcosa di
raffinato, di buono ed eccelso. Esso non è un semplice strumento di
evasione dalla realtà dolorosa, o un ausilio per la scrittura. Nel vino
si rispecchiano tutte le metafore che hanno a che fare con i piaceri
della vita, dai più grandi a più piccoli, dai più innocenti ai più
misteriosi. Il conforto della bellezza trova in questa bevanda, che
Baudelaire definisce “ambrosia vegetale”, la sua massima essenza.
In
questa poesia, il vino sembra subire una personificazione, parla con
l’uomo e desidera finire nel suo corpo, consapevole che dalla loro
unione nascerà qualcosa di buono e raro. Il legame che unisce uomo e
vino si dimostra in questo testo indissolubile, non solo perché il vino
si accompagna alla nascita della poesia, ma perché, per averlo come
prodotto finito, all’uomo sono necessari dedizione, fatica e sudore. Il
vino è dunque un amico primitivo e sincero dell’uomo, un amico fidato,
in cui è sempre possibile trovare un sostegno, grazie alla dolcezza e
alla delicatezza del suo gusto.
Dentro le bottiglie cantava una
sera l'anima del vino:
“Uomo, caro diseredato, eccoti un
canto pieno
di luce e di fraternità da questa
prigione
di vetro e da sotto le vermiglie
ceralacche!
So quanta pena, quanto sudore e
quanto sole
cocente servono, sulla collina
ardente,
per mettermi al mondo e donarmi
l'anima;
ma non sarò ingrato nè malefico,
perchè sento una gioia immensa
quando scendo
giù per la gola d'un uomo
affranto di fatica,
e il suo caldo petto è una dolce
tomba
dove sto meglio che nelle mie
fredde cantine.
Senti come echeggiano i
ritornelli delle domeniche?
Senti come bisbiglia la speranza
nel mio seno palpitante?
Vedrai come mi esalterai e sarai
contento
coi gomiti sul tavolo e le
maniche rimboccate!
Come accenderò lo sguardo della
tua donna rapita!
Come ridarò a tuo figlio la sua
forza e i suoi colori!
Come sarò per quell'esile atleta
della vita
l'olio che tempra i muscoli dei
lottatori!
Cadrò in te, ambrosia vegetale,
prezioso grano sparso dal
Seminatore eterno,
perchè dal nostro amore nasca la
poesia
che come un raro fiore s'alzerà
verso Dio!”
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