giovedì 23 aprile 2015

Il vino, simposio e ricerca dell'armonia. Alceo e Charles Baudelaire


Il simposio era un rito collettivo di condivisione culturale, in cui i partecipanti erano invitati ad abbandonarsi nelle danze, accompagnate da musiche e inebrianti profumi. Spesso viene cantato dai poeti, ma con Alceo assume una valenza particolare: non era un semplice banchetto, ma  un’occasione di dialogo, condivisione culturale e tregua dai dolori. 
Il vino era il perfetto accompagnatore di ogni simposio, un dono divino, creato per allontanare le sofferenze, come se fosse dotato di poteri che garantissero l’autenticità e la veridicità dei pensieri. Proprio per questo Alceo esorta a bere senza moderazione, cercando di mettere le preoccupazioni da parte: ritiene che l’unico modo per combattere la fugacità del tempo sia saper godere dei piaceri del vino, per trarne gioia. 


Alceo fr. 346

« Beviamo.
 Perché aspettare le lucerne?
 Breve il tempo.
 O amato fanciullo, prendi le grandi tazze variopinte,
 perché il figlio di Zeus e di Sèmele
 diede agli uomini il vino
 per dimenticare i dolori.
 Versa due parti d'acqua e una di vino;
 e colma le tazze fino all'orlo:
 e una segua subito l'altra. »
(Trad. di Salvatore Quasimodo)





Il vino di Baudelaire viene rappresentato privo di ogni accezione edonistica, ma si trasforma in qualcosa di raffinato, di buono ed eccelso. Esso non è un semplice strumento di evasione dalla realtà dolorosa, o un ausilio per la scrittura. Nel vino si rispecchiano tutte le metafore che hanno a che fare con i piaceri della vita, dai più grandi a più piccoli, dai più innocenti ai più misteriosi.  Il conforto della bellezza trova in questa bevanda, che Baudelaire definisce “ambrosia vegetale”, la sua massima essenza.
In questa poesia, il vino sembra subire una personificazione, parla con l’uomo e desidera finire nel suo corpo, consapevole che dalla loro unione nascerà qualcosa di buono e raro. Il legame che unisce uomo e vino si dimostra in questo testo indissolubile, non solo perché il vino si accompagna alla nascita della poesia, ma perché, per averlo come prodotto finito, all’uomo sono necessari dedizione, fatica e sudore. Il vino è dunque un amico primitivo e sincero dell’uomo, un amico fidato, in cui è sempre possibile trovare un sostegno, grazie alla dolcezza e alla delicatezza del suo gusto.


Dentro le bottiglie cantava una sera l'anima del vino:
“Uomo, caro diseredato, eccoti un canto pieno
di luce e di fraternità da questa prigione
di vetro e da sotto le vermiglie ceralacche!

So quanta pena, quanto sudore e quanto sole
cocente servono, sulla collina ardente,
per mettermi al mondo e donarmi l'anima;
ma non sarò ingrato nè malefico,

perchè sento una gioia immensa quando scendo
giù per la gola d'un uomo affranto di fatica,
e il suo caldo petto è una dolce tomba
dove sto meglio che nelle mie fredde cantine.

Senti come echeggiano i ritornelli delle domeniche?
Senti come bisbiglia la speranza nel mio seno palpitante?
Vedrai come mi esalterai e sarai contento
coi gomiti sul tavolo e le maniche rimboccate!

Come accenderò lo sguardo della tua donna rapita!
Come ridarò a tuo figlio la sua forza e i suoi colori!
Come sarò per quell'esile atleta della vita
l'olio che tempra i muscoli dei lottatori!

Cadrò in te, ambrosia vegetale,
prezioso grano sparso dal Seminatore eterno,
perchè dal nostro amore nasca la poesia

che come un raro fiore s'alzerà verso Dio!”




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